Paziente affetto da paraplegia, trattamento in acqua

Nella riabilitazione del soggetto affetto da paraplegia, è fondamentale l’attività in acqua al fine di migliorare la percezione corporea per favorire l’integrazione tra parte lesa e parte sana.

In queste persone, infatti, l’alterazione della sensibilità crea notevoli problemi che possono compromettere l’integrità sia fisica sia psicologica.

Obiettivi

Gli obiettivi dell’attività in acqua sono:

  • migliorare la resistenza allo sforzo;
  • potenziare la muscolatura globalmente;
  • migliorare l’equilibrio del tronco in condizioni di instabilità;
  • approfondire le conoscenze psicomotorie nella condizione patologica;
  • migliorare la funzionalità cardiorespiratoria;
  • migliorare l’autonomia dal punto di vista funzionale;
  • valorizzare l’aspetto ludico e socializzante mediante l’attività di gruppo;
  • avviare al nuoto.

Dato che il primo obiettivo della riabilitazione è il raggiungimento della massima autonomia nelle attività della vita quotidiana, anche il lavoro in piscina persegue questo scopo.

Attraverso l’attività natatoria, il soggetto impara a gestire il proprio corpo, ad ascoltarlo e a gestirlo, scopre nuove abilità, autonomie e movimenti che potranno trovare utilità fuori dalla piscina.

Il paziente dovrà quindi essere preparato a usufruire di qualsiasi tipo di struttura, pubblica o privata, e dovrà accedere agli spogliatoi, cambiarsi, lavarsi, entrare e uscire dalla piscina autonomamente.

 

Strutture utili alle attività idroterapiche

Le principali strutture utilizzate sono le vasche a farfalla, camminatoi, vasche piccole o piscine costruite e installate con modalità e materiali differenti, con o senza bordi rialzati, con profondità variabili.

Requisiti dei locali piscine e annessi

Attualmente la normativa italiana nei confronti dell’accessibilità e dell’eliminazione delle barriere architettoniche riguarda la totalità del patrimonio edilizio. Per alcuni edifici (fra cui quelli scolastici, sanitari, assistenziali, culturali e sportivi) è richiesta la totale accessibilità.
Il rispetto delle normative in vigore (parametri di misura come per esempio larghezza delle porte, pendenza delle rampe, eccetera) è indispensabile.
Oltre a queste avvertenze sarebbe utile disporre di:

  • uno spazio adeguato per il passaggio e le manovre della carrozzina;
  • un seggiolino per doccia con maniglie per i trasferimenti carrozzina-seggiolino;
  • una pavimentazione non troppo liscia;
  • accanto alla vaschetta lavapiedi, una vasca per il passaggio della carrozzina.

Prevedendo la mancanza nelle normali piscine di molte attrezzature quali la sedia elevatrice per il passaggio in acqua, è ancora una volta utile sottolineare l’importanza di un elevato grado di autonomia di chi si avvicina a questa pratica ricreativo-sportiva.

Trasferimenti

Per quanto riguarda i trasferimenti (carrozzina-seggiolino doccia; carrozzina -bordo vasca) è utile insistere nel provarli, in quanto l’operatore sanitario non sarà presente in una piscina normale. La persona disabile deve quindi essere in grado di eseguirli autonomamente o almeno di spiegare i passaggi e le prese a chi la assiste.

Vestirsi-svestirsi

Normalmente nella nostra piscina il paziente è invitato a gestire la propria vestizione/svestizione per quanto possibile da solo. Ovviamente molto dipende dal tipo di lesione e dal quadro di autonomia raggiunto.
La svestizione avviene di solito in carrozzina, mentre la vestizione inizia sul lettino, per poi divenire possibile anche in carrozzina.
E’ sicuramente importante uno scambio di informazioni riguardo il livello di autonomia tra infermieri, terapista di palestra, terapista occupazionale e personale della piscina.

La temperatura dell’acqua

La temperatura consigliata per il trattamento dei pazienti è in genere attorno ai 34-35°C, mentre l’attività natatoria si svolge in piscina dove l’acqua ha valori intorno ai 27°C. La temperatura di 34-35°C permette di svolgere un lavoro mirato alla riabilitazione in senso stretto e all’acquaticità, dato che favorisce la vasodilatazione periferica con riduzione della pressione arteriosa, tachicardia e aumento dell’attività cardiaca, riduzione del tono muscolare e modificazione della sensibilità somatica. A 27°C gli effetti sono esattamente opposti, quindi è idonea all’attività sportiva.

Ingresso nella vasca

L’ingresso in acqua può avvenire in vari modi:

  • con l’elevatore. E’ senz’altro il metodo più facile e menodispendioso; è però sempre necessario una operatore esterno anche con pazienti completamente autonomi; inoltre, in caso di pazienti non autonomi, è indispensabile una persona dentro la piscina per aiutare il passaggio in acqua;
  • seduto sul bordo con terapista in acqua. Innanzitutto il soggetto deve trasferirsi dalla carrozzina sul bordo della vasca, possibilmente su una copertura di gomma morbida per evitare sfregamenti e contusioni. I piedi del paziente vengono immersi in acqua e le mani appoggiate sulle spalle del terapista, che si trova già dentro la piscina davanti a lui. Il terapista, ben bilanciato ad arti inferiori abdotti e ginocchia semiflesse, afferra il soggetto a livello delle ascelle e lo invita a lasciarsi entrare in acqua. Successivmente il paziente mantiene soltanto le mani a contatto con quelle del terapista, per poi lasciarsi andare riamanendo vicino al terapista;
  • seduto sul bordo con tuffo. Il tronco e il capo si flettono in avanti entrando in acqua. E’ un passaggio autonomo;
  • tuffo direttamente dalla carrozzina. E’ particolarmente spettacolare ed è adatto a una persona molto esperta e sicura.

 

Uscita dalla vasca

L’uscita dall’acqua può avvenire in vari modi:

  • con l’elevatore, mediante le stesse modalità descritte per l’ingresso;
  • passaggio acqua-bordo con aiuto. Il paziene punta le mani sul bordo e, spingendoverso il basso emerge dall’acqua guidato dal terapista e si adagia prono sul bordo. Quindi ruota mettendosi seduto e poi passa in carrozzina.

 

Acquaticità

Il soggetto deve essere incoraggiato all’incontro con l’elemento acqua; in essa deve essere sicuro, sapersi muovere, respirare bene, divertirsi e, infine, nuotare.
L’apprendimento è facilitato quanto più la persona è interessata e motivata a imparare. Non basta trovarsi nella condizione oggettiva per apprendere qualcosa, bisogna soprattutto volere imparare.
Quando il soggetto è in grado di risolvere un problema o riesce a effettuare un esercizio, aumenta la fiducia e l’autostima, creando il presupposto per affrontare situazioni più difficili.

Tra terapista e paziente è importante instaurare subito una buona comunicazione, sia verbale sia non.
Sul piano verbale l’attenzione deve essere posta sull’uso di una terminologia positiva (evitando parole quali affondare, annegare, eccetera) e sul passaggio di informazioni semplici e comprensibili dalla persona.
La comunicazione non verbale è decisamente più ricca e permette un maggiore interscambio tra gli individui. Essa comprende il contatto oculare, l’espressione del volto, la gestualità, il contatto fisico, il tono e il volume della voce. Si possono così esprimere (ma soprattutto cogliere) gli stati emotivi, sia positivi sia negativi.

Il primo impatto con l’acqua per il soggetto affetto da esiti di mielolesione è sempre accompagnato da una sensazione di smarrimento, indipendentemente dall’abilità natatoria precedentemente acquisita.
Per questo motivo il terapista deve essere vicino a lui in acqua, con un ottimo aggancio visivo, per potergli infondere tranquillità, sicurezza e serenità.

Poco alla volta l’allievo acquisisce familiarità con l’ambiente e, attraverso opportuni esercizi, apprende come:

  • controllare e coordinare la respirazione;
  • galleggiare sfruttando la forza di gravità e la spinta idrostatica;
  • attuare il rilassamento muscolare;
  • attuare la coordinazione globale (nuoto).

Per quanto riguarda la respirazione, occorre evitare le continue apnee che aumentano la tensione; infatti, un ritmo respiratorio naturale è indispensabile in ogni attività, anche in quelle svolte in acqua. Bisogna quindi insegnare al paziente a espirare frequentemente, finché questo diventa un automatismo ogni qualvolta l’acqua si avvicina alla bocca. Tale passaggio è fondamentale per l’autonomia in acqua e per poter affrontare i vari stili di nuoto.

 

Descrizione dell’esercizio

Si inizia immergendo prima la bocca, poi il naso, quindi gli occhi (aperti), in una continua e lenta espirazione. Questa deve effettuarsi attraverso sia il naso sia la bocca, in modo da imparare a controllare la presenza di acqua nel cavo orale e nasale (l’inspirazione, invece, avviene solo dalla bocca).

L’esercizio può effettuarsi con movimenti verticali del corpo, mani appoggiate al bordo vasca o in posizione prona. In questo modo il galleggiamento è facilitato, ma la respirazione (frontale) risulta difficoltosa, in particolare per i pazienti che accusano debolezza a carico dei muscoli dorsali.

L’esercizio, anche se apparentemente banale, è fondamentale per l’acquisizione di coordinazione, ritmo ed equilibrio, che inducono l’individuo al rilassamento in acqua. Rispetto agli esercizi svolti a secco, in acqua il paziente deve adattarsi ai continui disequilibri, alle variazioni di postura e, nel galleggiamento, all’alterata percezione sensitiva dovuta alla perdita di gravità, arricchendo così la propria esperienza motoria.

Il fine è quello di imparare a controllare la combinazione delle rotazioni sugli assi trasversali e/o longitudinali per recuperare la posizione più consona alla respirazione e facilitare il galleggiamento.
Per arrivare a questo, si inizia con esercizi di equilibrio da seduti sulla sedia dell’elevatore, chiedendo continue variazioni di posizione, in modo da sfruttare le turbolenze, e/o richiedendo al soggetto movimenti attivi degli arti superiori.

Si passa quindi a esercizi in verticale (con l’eventuale aiuto di ausili o sulle gambe del terapista), per arrivare poi alla posizione distesa sia prona sia supina.

Sul dorso la respirazione è meno difficoltosa, gli arti superiori abdotti aiutano a controbilanciare l’immersione degli arti inferiori e la testa, più o meno immersa, contribuisce a mantenere il galleggiamento.

Da prono l’immersione del viso rende più difficoltosa la respirazione, ma anche in questo caso la testa aiuta, con la sua maggiore o minore flesso-estensione, a controllare il galleggiamento, mentre gli arti superiori distesi in avanti stabilizzano o comunque rallentano l’affondamento degli arti inferiori.

Man mano che l’allievo acquista fiducia e sicurezza, oltre a fare progressi dal punto di vista della galleggiabilità, riesce parallelamente a controllare e attivare il rilassamento muscolare. Infatti, il galleggiamento, diminuendo gli effetti della gravità (quando più dei due terzi del corpo sono immersi), riduce la richiesta di attività funzionale dei muscoli antigravitari.

A questo punto si possono inserire le scivolate e i primi spostamenti con azione palmare. Quest’ultima si effettua distesi sul dorso, con le braccia lungo i fianchi, esercitando una pressione verso il fondo della vasca in grado di sostenere la caduta degli arti inferiori. A questi movimenti si può associare una spinta verso i piedi, in modo da creare turbolenze che permettono al corpo di procedere nel verso desiderato. Così facendo si ha un’azione sia di sostegno sia propulsiva.

Le scivolate vengono effettuate con l’aiuto del terapista, che spinge il corpo del paziente, supplendo così alla spinta contro il bordo che normalmente danno gli arti inferiori. Il corpo del paziente deve essere rilassato e avere raggiunto già un buon galleggiamento.

Se vengono utilizzati ausili galleggianti, questi non devono dare un sostegno totale, ma garantire tranquillità e sicurezza al soggetto, obbligandolo nello stesso tempo a svolgere un lavoro attivo nella ricerca del galleggiamento. Il sostegno deve quindi essere gradualmente ridotto fino al suo completo abbandono; infatti, dal punto di vista terapeutico, è necessario che il paziente impari a gestire i propri rollii, gli sbilanciamenti e le contrazioni, mentre l’uso di un galleggiante altera le risposte. Meglio, dunque abbandonarlo prima possibile.

Nuoto

“Nuotare bene vuol dire spostarsi in acqua con il rendimento migliore, ovvero con la combinazione ottimale tra energia spesa e velocità acquisita”

Un buon nuotatore non è, quindi, colui che conosce molto bene gli stili e le tecniche, bensì la persona che possiede innanzitutto una grande dimestichezza con l’acqua ed è capace di effettuare qualsiasi tipo di movimento nelle più svariate posizioni.

Di seguito sono affrontate le caratteristiche dei vari stili del nuoto, rapportandole a una persona con lesione midollare. Il confronto è utile al fine di evidenziare le particolarità del nuoto nei paraplegici, anche se è opportuno sottolineare che il compito del riabilitatore termina quando il soggetto ha conquistato l’autonomia in acqua: da quel momento in poi è compito dell’istruttore di nuoto, al limite in collaborazione con il terapista, l’insegnamento degli stili ed, eventualmente, l’inserimento nel mondo agonistico.

Condizioni favorevoli e non nel paziente affetto da esiti di medullolesione

Il nuotatore normodotato utilizza per avanzare prevalentemente gli arti superiori, mentre gli arti inferiori, da responsabili principali negli spostamenti a terra, assumono in acqua un ruolo solo parzialmente propulsivo: il loro compito è principalmente stabilizzante in tutte quelle situazioni in cui occorre dare equilibrio al corpo.

Dunque, il soggetto affetto da esiti di mielolesione ha la possibilità di diventare un ottimo nuotatore. In maniera più specifica, il deficit a carico degli arti inferiori può accusarsi nelle rotazioni del corpo (rollio) che in un soggetto sano vengono compensate da movimenti volontari degli arti inferiori (incrocio o battuta alternata delle gambe).

Stili di nuoto

Il soggetto deve essere orientato verso tutti gli stili di nuoto che le sue capacità gli permettono, starà poi a lui scegliere lo stile che preferisce. Ogni stile ha un duplice scopo: mantenere il soggetto sulla superficie dell’acqua e farlo avanzare rapidamente e con poco sforzo.

Per l’insegnamento del nuoto si procede di solito attraverso una sequenza preordinata:

  • posizione di base e respirazione;
  • lavoro delle braccia;
  • lavoro degli arti inferiori, quando possibile;
  • coordinazione braccia-gamberespirazione.

Durante l’insegnamento è indispensabile correggere gravi errori di posizione, di movimento o respirazione, ma è meglio tralasciare i dettagli estetici dello stile, che verranno perfezionati in seguito.

Tralasciando lo stile complesso del delfino, di seguito sono descritti i vari stili, partendo dalle caratteristiche che li contraddistinguono quando praticati da un soggetto sano, per evidenziare poi le difficoltà che possono sorgere in caso di affetti da paraplegia.

Stile dorso

TIPO DI MOVIMENTO: alternato e ciclico per gli arti sia superiori sia inferiori.

POSIZIONE DEL CORPO: supina

MOVIMENTO DEGLI ARTI SUPERIORI:

  • azione di recupero: durante il percorso aereo il braccio è disteso, la mano ruota per fare entrare il mignolo, il braccio disteso entra in acqua sopra la spalla;
  • azione subacquea: è un’azione di appoggio/presa, trazione e spinta, l’azione della mano si sviluppa secondo una traiettoria curvilinea, al termine della fase di presa il gomito si flette.

RESPIRAZIONE: regolata sulla bracciata.

MOVIMENTO DEGLI ARTI INFERIORI:

  • movimento dal basso verso l’alto;
  • azione sott’acqua;
  • nel movimento è coinvolto tutto l’arto.

ASSETTO IDRODINAMICO: è buono se:

  • il corpo rimane sempre fermo;
  • l’azione aerea delle braccia non determina spostamenti del bacino (è il movimento subacqueo degli arti superiori che determina qualche sbilanciamento nell’assetto, che di solito si compensa con colpi di gambe in diagonale).

NEL SOGGETTO AFFETTO DA PARAPLEGIA

L’indipendenza si raggiunge prima sul dorso, poichè la posizione prona è più difficile da mantenere essendo deficitaria per l’estensione delle anche e risultando, ovviamente, molto più complessa la respirazione.

Il soggetto comincia a imparare la spinta propulsiva: le braccia, muovendosi a pelo d’acqua, vengono allontanate dai fianche a gomiti flessi, poi vengono estese e abdotte e riportate, quindi, alla linea mediana. Durante il ritorno le mani non devono affondare troppo per favorire una spinta più valida ed economica ed evitare che il baricentro vada in profondità causando l’affondamento.

In seguito si può aumentare l’arco della bracciata portando le braccia contemporaneamente fuori dall’acqua e ai lati della testa per poi tornare alla linea mediana. Qui la mano, muovendosi con una traiettoria curvilinea, non svolge soltanto il compito di favorire la propulsione, ma anche di mantenere a galla il corpo.

Si insegna così la doppia bracciata (dorso simmetrico), praticata con movimenti contemporanei di tutte e due le braccia. L’attività asimmetrica, che provoca una rotazione del bacino, verrà praticata in seguito.

Ovviamente, l’acqua può schizzare sulla faccia e dare fastidio e per questo si può cominciare a mantenere le braccia in leggera abduzione quando vengono portate in alto, anche se è utile abituarsi ad avere acqua sulla faccia.

Il movimento delle braccia e del tronco deve essere accompagnato da una respirazione ritmica e coordinata.
La testa deve essere più o meno flessa o estesa secondo il galleggiamento: è necessario trovare il giusto equilibrio compensando l’affondamento del bacino.

Nel caso in cui si possa sfruttare parzialmente il movimento degli arti inferiori, in genere si chiede un movimento dal basso verso l’alto, sfruttando la spinta dell’acqua per aiutare la flessione dell’anca, la quale viene riportate in basso dalla forza di gravità (come nel soggetto normodotato).

La bracciata asimmetrica crea di solito uno squilibrio e una rotazione del bacino e del tronco. La possono praticare con più facilità coloro che hanno una lesione dorsale bassa o lombare e che possono reagire allo squilibrio con una controrotazione compensatoria del tronco. Negli altri casi si può ovviare con strategie differenti (per esempio, aumentare il ritmo delle bracciate o utilizzare presidi galleggianti).

Un ultimo importante consiglio consiste nell’evitare una flessione del braccio oltre i 180° durante la fase di presa perchè non affondino testa e bacino.

Stile libero o crawl

TIPO DI MOVIMENTO: alternato e ciclico per gli arti sia superiori sia inferiori.

POSIZIONE DEL CORPO: prona. Per ridurre al minimo la resistenza frontale il nuotatore deve essere il più possibile orizzontale rispetto alla superficie dell’acqua.

MOVIMENTO DEGLI ARTI SUPERIORI:

  • fase aerea: se il movimento aereo viene effettuato a gomito flesso, si riducono gli spostamenti laterali di bacino e arti inferiori;
  • fase subacquea: si distingue in presa, trazione e spinta, l’azione è sempre attiva, l’azione della mano si sviluppa secondo una traiettoria curvilinea, durante la presa il braccio si flette al gomito, durante la trazione il gomito è alto rispetto alla mano.

RESPIRAZIONE: si inserisce sull’azione delle braccia ogni singolo ciclo, dopo più cicli completi, oppure a destra e a sinistra ogni tre/cinque … bracciate. Il nuotatore espira sott’acqua e ruota la testa di lato per inspirare.

MOVIMENTO DEGLI ARTI INFERIORI:

  • funzione propulsiva, galleggiante, stabilizzante;
  • il movimento è dall’alto verso il basso;
  • nel movimento è coinvolto tutto l’arto, dall’anca ai piedi;
  • l’azione avviene completamente sull’acqua.

NEL SOGGETTO AFFETTO DA PARAPLEGIA

Come nel dorso, durante la bracciata si crea uno squilibrio generale del corpo, specie a livello del bacino, che cade verso il basso e ruota omolateralmente. Anche in questo caso si devono individuare le strategie più opportune, quali l’utilizzo di galleggianti o l’aumento della velocità delle bracciate.

Al contrario di quanto si insegna al soggetto normodotato, un consiglio utile per migliorare il galleggiamento degli arti inferiori è tenere lo sguardo rivolto non in avanti, ma verso il fondo con il capo maggiormente immerso. I soggetti che hanno integro il muscolo quadrato dei lombi sono maggiormente facilitati nel compensare la rotazione e quindi nel mantenersi in discreto equilibrio.

Di fondamentale importanza è il movimento del capo per permettere la respirazione laterale.

 

Stile rana

TIPO DI MOVIMENTO: simultaneo e ciclico per gli arti sia superiori sia inferiori.

POSIZIONE DEL CORPO: prona. Si determina in ogni ciclo un’alternanza di posizioni inclinate (durante la respirazione frontale e durante la flessione delle cosce sul bacino) e posizioni orizzontali di scivolo.

MOVIMENTO DEGLI ARTI SUPERIORI:

  • fase propulsiva: si effettua solo la trazione; manca la spinta; è un’azione attiva; le mani, ruotate leggermeten in fuori, si flettono un pò rispetto all’avambraccio; le braccia si flettono dopo, progressivamente, consentendo alle mani di riavvicinarsi alla linea mediana secondo un’utile traiettoria curvilinea;
  • fase di riporto: le mani devono mantenersi ben allineate; i gomiti si riavvicinano; può essere effettuata la supinazione delle mani; le braccia si distendono progressivamente in avanti.

RESPIRAZIONE: è frontale e si effettua grazie a una leggera estensione all’indietro del capo.

MOVIMENTO DEGLI ARTI INFERIORI:

  • flessione: la gamba si flette quanto può sulla coscia; la coscia si flette sul bacino con un angolo di circa 45° riferito alla verticale;
  • spinta: è un movimento energico di distensione di tutto l’arto; i piedi, al termine della flessione degli arti, vengono flessi dorsamente e ruotati in fuori.

COORDINAZIONE: dalla posizione distesa, si inizia con il mivomento delle braccia; le mani si avvicinano alla linea mediana; sulla spinta di questi ultimi, le braccia si distendono in avanti, mentre la testa si allinea alle braccia; sullo scivolo, più o meno lungo, termina il ciclo.

NEL SOGGETTO AFFETTO DA PARAPLEGIA

È senza dubbio lo stile più complicato, innanzitutto per il fatto che il bacino e gli arti inferiori tendono ad affondare. Anche la coordinazione fra il movimento degli arti superiori e la respirazione è piuttosto complessa, specie se il soggetto non conosceva questa nuotata prima del trauma. Inoltre è lo stile più lento e questo non favorisce il sostegno del corpo, come invece può avvenire nello stile libero.

Dunque, soltanto una persona dotata di un buon galleggiamento favorito dal proprio peso specifico può intraprendere questo stile ed è senz’altro avvantaggiato chi già lo praticava. Fondamentalmente nella rana, come nello stile libero, è essere molto sicuri nei passaggi dalla posizione prona a quella supina per potersi girare sul dorso e riposare in caso di affaticamento.

Conclusione

Una volta appresi i vari stili, il soggetto può decidere di nuotare liberamente traendo il massimo vantaggio dall’ambiente acquatico; oltre a rappresentare una valida esercitazione per i muscoli ancora validi, il nuoto ha soprattutto una valenza psicologica, per cui non è da escludere anche la possibilità di praticarlo a livello agonistico.

Effetti psicologici

In una persona che entra in piscina per la prima volta si possono riscontrare risposte di vario tipo. Innanzitutto, in un ambiente che obbliga a mostrare il proprio corpo, il pudore è comprensibile, specie durante le fasi di entrata e uscita dalla vasca (spesso ci si sente meno imbarazzati una volta immersi nell’acqua).

Inoltre l’acqua svolge un ruolo sia di contenimento fisico, in quanto stimola la sensibilità corporea, sia di contenimento psicologico, suscitando vissuti legati alle esperienze infantili precoci.

In questo modo è spiegabile il rapporto di amore/odio dell’uomo con l’acqua, la quale rievoca immagini di vita prenatale che possono assumere per l’adulto significati anche negativi e ansiogeni. In questi casi risulta utile fare un lavoro di rilassamento con l’obiettivo di far riscoprire sensazioni e componenti positive legate all’esperienza di piacere sensoriale.

Quando il paziente riesce a integrarsi bene nell’ambiente acquatico, l’idroterapia in generale può aiutare ad aumentare la conoscenza dello schema corporeo e l’immagine di sé attraverso le stimolazioni esterocettive che l’acqua può dare. In particolare favorisce l’accrescimento del senso di posizione, del valore e delle capacità personali.

Controindicazioni

L’attività in acqua è sconsigliata in caso di:

  • fenomeni febbrili;
  • flogosi acute dell’apparato locomotore e vascolare (quando la temperatura dell’acqua è alta, essa comporta vasodilatazione, aumento della pressione capillare, trasudazione, con successiva accentuazione del processo patologico);
  • grave insufficienza cardiorespiratoria;
  • lesioni da decubito superiori ai 5 cm di diametro. Attualmente è possibile isolare efficacemente la parte lesa dall’ambiente esterno medicandola con pellicole idrorepellenti che permettono tenute efficaci. Con tali modalità si evita il contatto diretto dell’acqua, prevenendo il rischio di contaminazione sia della lesione sia dell’ambiente;
  • patologie neoplastiche;
  • dermatiti infettive;
  • incontinenza urinaria e fecale. L’incontinenza fecale è una controindicazione assoluta, anche se a volte si possono usare tamponi che, una volta inseriti a modi supposta, si aprono e fungono da tappo. In caso di incontinenza urinaria, l’utilizzo di tecniche specifiche o presidi sanitari adeguati (tipo condom) aumenta il numero di pazienti che possono essere sottoposti al trattamento;
  • comizialità;
  • rifiuto psicologico (paura dell’acqua o pudore).

 

Concetti fondamentali di fisica

Le principali proprietà fisiche dell’acqua sono:

  • massa: di una sostanza è l’insieme di materia che la comprende;
  • peso: di una sostanza è la forza con la quale la stessa è attratta verso il centro della terra;
  • densità: è la relazione esistente tra massa e volume. L’acqua ha una densità variabile in funzione della temperatura (vapore acqueoacqua-ghiaccio);
  • peso specifico: quello dell’acqua è uguale a 1. Tutti i corpi con peso specifico inferiore a 1 galleggiano; in caso contrario, affondano;
  • principio di Archimede: un corpo immerso in un fluido riceve una spinta dal basso verso l’alto pari al peso del volume del fluido spostato;
  • pressione idrostatica (legge di Pascal): una pressione esercitata in un punto di un liquido si trasmette in tutte le direzioni con la stessa intensità e sempre perpendicolare alla superficie premuta;
  • principio di metacentro: su un corpo che galleggia l’acqua esercita una spinta verso l’alto; il suo punto di applicazione è detto centro di spinta. La forza esercitata dal peso del corpo è applicata a un punto chiamato baricentro. Se il centro di spinta e il baricentro coincidono, si avrà l’equilibrio del corpo che galleggia; se i due non sono allineati, le due forze provocano un movimento di rotazione;
  • teorema di Bernoulli: in acqua esistono due forme di energia, l’energia potenziale o di posiizione e l’energia cinetica o di movimento. Il lavoro eseguito dalle forze applicate a un liquido in movimento, in un tempo determinato, se non ci sono perdite, si ritrova nella sua energia cinetica (ossia l’energia non può né crearsi, né distruggersi, può solo trasformarsi da potenziale in cinetica o viceversa;
  • tensione superficiale: è la forza esercitata tra le molecole superficiali di un fluido (pellicola elastica superficiale);
  • viscosità: è l’attrito esistente tra le molecole di un liquido e causa una resistenza allo scorrerre del liquido stesso.

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